martedì 26 giugno 2012

Nomi. Bis.

Giuro, non lo faccio apposta.. è che devo pure occupare il tempo tra una chiamata e l'altra, e sopratutto devo far viaggiare la mente oltre i divisori felpati della mia postazione, prima di cominciare ad inciderli con disegno di teschi come i carcerati del 1800. Per cui, in mancanza di altro, faccio congetture su come potrebbero incontrarsi e svilupparsi le storie tra clienti con nomi assurdi.
Tipo:
Che succederebbe se Angelo Caduto incontrasse Michele Arcangelo Guerriero?
... se Paride Troiani incontrasse Elena Lo Bello?
Ernesto Scornavacche incontrasse Amante Castratori?
Salvatore Generoso incontrasse Felice Mistico?
Giorgio De Giorgis incontrasse Giorgina Giorgianni??

E via dicendo... la cosa naturalmente più buffa è che nomi del genere sovente mi appaiono in sequenza, quasi che il caso con cui il server mi manda le chiamate in cuffia si divertisse a farmi scherzi. E devo dire che ogni tanto mi impedisce persino di parlare con il cliente, per non scoppiare a ridergli in faccia... come stava per capitarmi con il signor Santo Decrepito, residente per altro in Via del Cimitero, che mi è arrivato dritto dritto dopo il signor Felice Volante, abitante a Piscina, in provincia di Torino.

lunedì 28 maggio 2012

Doppia cuffia.

Il terrore dell'operatore. Tu al computer, i clienti che chiamano e dietro di te l'Ascoltatore. Sopratutto quando nell'altra cuffia ci sta il capo.
Qualsiasi genere di capo: il team leader, il vice team leader o il temutissimo Cliente, ovvero quello che ha comprato la commissione per il servizio clienti che stai svolgendo.. Cheppoi.

Mica è detto che il Cliente ci capisca poi una ceppa di quello che stai facendo.. a volte te li affiancano solo perchè gli stanno facendo fare il giro del call center per vendergli il servizio e te lo piazzano in doppia cuffia per fargli vedere quanto gli operatori sonobbravieccortesieccompetentieccazziemmazzi.

Risultato, la chiamata che ti entra, invece della solita standard, è di questo genere:

- Buongiorno e benvenuto in assistenza clienti sono Laura con chi ho il piacere di parlare?

- Abbella! Nun me fà 'ncazzo de ppiacere de pparlà cottè! Che m'hai mannato qua? Che è sta bbolletta de ventun euro? Chevvolete??

- SSi.. posso avere nome e cognome e data di nascita che recupero la sua pratica e vediamo?

Intanto mi giro e guardo l'Ascoltatore che mi guarda stranita, occhi spalancati, espressione attonita.

- Anvedi questa! Ma che te pensi che te do i miei dati che te me mandi poi tutta 'a pubblicità? E poi 'o sapete chi sono, sennò che m'avete mannata a fare sta bolletta? E che ve pago ventun euro peccosa?? Sete dei ladri, malfattori, strozzini, ecco che siete...

- Signora, mi rendo conto del problema, tuttavia senza i suoi dati anagrafici non posso visualizzare la sua pratica e veder se i 21 euro sono dovuti...

- Aho, abbella, nun sta a fa l'erudita comme sa? Chette usi sti paroloni? Che voi? Che te dico comme me chiamo? *detta un nome incomprensibile ed un gruppo di cifre a caso*

- Mi potrebbe ripetere, gentilmente? Più lentamente, magari...

- *la cliente ripete alla stessa velocità, alzando però la voce. Mi giro verso l'Ascoltatore e dopo una breve consultazione riusciamo a decifare il nome, mentre la cliente prosegue a sbraitare in qualche lingua bizzarra.*

- Abbella! Che hai trovato a pratica mia? Nun c'ho tutta a ggiornata pe stà a parlà cotte!

- Si, signora.. in realtà non ci deve 21 euro, ma sono 22mila euro presi in prestito per l'auto di suo figlio, signora... ha firmato anche lei, ricorda?

- *silenzio. Borbottii e strepiti in lontananza. Voce di uomo* Signorì, che sta a di?

- Sì, signore... le ricordo che ha stipulato un contratto di finanziamento per l'acquisto delll'auto...

- *interrompe* Aho, ma che stai a dì? Guarda che io nun c'ho l'auto! Io t'ho comprato lo stepper e l'abrocket, da te! E me voi fa pagà pure le spese di spedizione, che sò aggratise!

- Mi perdoni se la contraddico, ma mi risulta che abbiate comperato l'auto, in data **/**/**** per una rata di...

- Eccerto! Quello l'ho comprato col concessionario, mica co mediascioppinche! A nome de mi moje! Ma io c'ho sta bboletta da 21 euro che voi m'avete mannato...

- Mi scusi se la interrompo... lei sta parlando con la finanziaria, una delle tante su cui si appoggia mediashopping... non con mediashopping... ed a me non risulta alcun finanziamento per...

- *verso la moglie, avoce altissima* ASSU?? MA CHE NUMERO HAI FATTO, RINCOJONITA?? *riaggancia senza neanche salutare*

La cliente ed io ci scambiamo uno sguardo desolato. Restituisce la doppia cuffia, mi fa pat pat sulla spalla e mi dice buona fortuna.

mercoledì 9 maggio 2012

Indeterminato...

Non è che sia una bella situazione, di per sè... estrapolata dal contesto, l'indeterminazione ha un sapore sgradevole, quasi un senso di vaghezza, di stallo, di attesa. Tutte connotazioni non esattamente positive.
Quando invece si parla di lavoro, l'indeterminato è ormai diventato un sogno, una chimera, quasi un miraggio lontano ed irraggiungibile.
Ma se si avvera? Sopratutto, se si avvera sotto le cuffie? Che succede quando un lavoro normalmente considerato di passaggio, evanescente, temporaneo diventa indeterminato?
Sconcertante, ma vero.
All'improvviso ti trovi con questa strana sensazione, a metà tra l'euforico e lo sconfortato. Certo, ho avuto alla bella età di 42 anni l'agognato contratto a tempo indeterminato che ormai è quasi solo mitologia nel mondo lavorativo contemporaneo. Finalmente mi posso pianificare le ferie, il che non è poco, visto che fino a poco tempo fa per ferie consideravo il periodo più o meno lungo tra un lavoro e l'altro. E non è che fosse proprio riposante, eh... ma tant'è. Anzi, tant'era.
Dall'altra parte però ho la chiara prospettiva di anni e anni con le cuffie in testa. Come ho fatto fino ad ora, certo, ma almeno potevo pensare, più o meno incazzosamente, che sarebbe stato prima o poi un passaggio a qualcos'altro. Ora invece... Anni a rispondere al telefono, a dire circa le stesse cose, a parlare con gente sempre più o meno insoddisfatta/incazzosa/lamentosa e quant'altro.
Mi rendo così conto che anche la sensazione che provo ha un non so che di indeterminatezza. Uno strano oscillare tra la pace di un lavoro stabile, la consapevolezza di non dovermi mettere di nuovo a rinfrescare il mio curriculum tra tre/sei mesi come al solito, e la sensazione di una prigionia indeterminata, una specie di ergastolo.
Il solo sollievo è l'ambiente lavorativo. I colleghi, cioè: il fatto che in call center, pur con un discreto ricambio, trovi spesso gente interessante, persone creative con tante idee in testa e la possibilità di vedere gente nuova girarmi attorno.
Per cui certo, infine il risultato è positivo. Il miraggio non è più un miraggio.

giovedì 15 marzo 2012

Fatevi una vita.

È quello che ho letto come commento su facebook ad un post che prendeva più o meno bonariamente in giro il lavoro dell'operatore di call center... ne è nata una discussione, che non riporto, in cui l'autore del commento inveiva ferocemente contro l'operatore a suo dire colpevole di richiamarlo più volte la settimana per fargli la stessa offerta, convinto che si trattasse della stessa persona. Ragion per cui, secondo l'autore di questo commento, si trattava di una persona senza una vita personale che si divertiva a molestarlo per rifargli sempre la stessa domanda.
Ora mi pare il caso di spiegare come funzionano le chiamate, giusto perchè magari tra i miei quattro lettori c'è qualcuno che giustamente non lo sa... e perchè spero che con un pochino di passaparola magari prima o poi gli italiani arrivino a capire come funzionano le chiamate di telemarketing, come difendersi e sopratutto cosa pensare correttamente degli operatori, che sono tutt'altro che persone senza una vita sociale fissate con il frantumare i maroni al prossimo.
Quando stipuliamo un contratto di qualsiasi genere, con un operatore telefonico, così come per acquistare un'auto, facciamo di solito un paio di firme. La prima autorizza l'azienda in questione a trattare i dati personali per fini interni e per la gestione dell'anagrafica, onde poter erogare il servizio richiesto. Questa firma è obbligatoria, in quando da sostanzialmente il via al contratto tra il cliente e l'azienda.
La seconda firma invece è quella per dare il consenso alle comunicazioni a scopo commerciale.. e che ci infila nel gorgo oscuro dei call center di telemarketing. Ora, c'è un modo semplice per evitarlo. Non mettere la firma, che non è obbligatoria, oppure, se la firma è già stata fatta, iscriversi al Registro delle Opposizioni. In questa maniera, il proprio numero viene rimosso da qualsiasi elenco di telemarketing e non si riceve più alcuna comunicazione commerciale, di alcun genere. Ovviamente ha pro e contro, si perde anche l'occasione di venire informati di iniziative e offerte che magari potrebbero essere interessanti ed utili, ma è una maniera semplice per non venire più molestati...
Tuttavia una cosa voglio assolutamente chiarirla, a tutela dei miei colleghi in mille call center sparsi per l'Italia.  
Non è l'operatore a fare il numero. Mai. In nessun call center esiste più l'elenco di numeri da chiamare e l'operatore con il telefono e i numeri da digitare. Esiste un server, un infranet che pesca le anagrafiche sul server dell'azienda ed una linea voip, come quella di skype. Il server del call center pesca le anagrafiche e le fa "girare" chiamando a ripetizione i numeri finchè questi non rispondono. La sola cosa che fa l'operatore è leggere il nome su un pop up, leggere uno script con un'offerta sempre uguale per tutti, gestire eventuali obiezioni per tentare la vendita ed esitare la chiamata con un si, un no o un "chiama dopo", se non trova il cliente. E sovente, lo ammetto, se il cliente è maleducato si finisce di farlo passare in "chiama dopo" anche quando è un no, giusto come bizzarra forma di punizione. Quando il cliente non risponde dopo un certo numero di volte, più o meno alto a seconda dell'impostazione decisa dall'azienda, il server elimina l'anagrafica come irreperibile.
Per cui non è mai, ripeto MAI l'operatore che rifà il numero dello stesso cliente. Se ricapita con la stessa persona è per puro caso, a me in anni di lavoro è capitato rarissimamente.
Nel caso in cui si venga chiamati e richiamati più volte per quanto riguarda la stessa offerta, per la quale magari abbiamo già espresso un no, la spiegazione è un'altra: è solo causa di un server su cui girano poche anagrafiche e del fatto che non ti hanno ancora esitato con un no definitivo, per quella campagna. C'è da dire che talvolta l'azienda passa gli stessi nominativi a più call center, sperando che prima o poi qualcuno riesca a spremere i propri clienti... e per questo che possono arrivare più chiamate per la stessa offerta. Ma magari in una stessa giornata venite chiamati da quattro call center diversi, chi lo sa?
Ora... se per caso vi tartassano con mille chiamate, anche se siete esasperati per favore, non insultate l'operatore. Non è un lavoro divertente e nessuno che io conosca lo fa per divertimento, per rompere le balle alla gente e perchè non ha altro da fare. Potessimo faremmo tutti ben altro, questo ve lo posso garantire, lo pensiamo ogni volta che parliamo con l'ennesimo cliente scortese, che sarebbe meglio stare a casa a guardare la tele e giocare a Farmville su Facebook. Ma dato che ormai quello del call center è uno dei pochi lavori che si trovano, chi dice di no ad un contratto sotto le cuffie?
Provateci voi, prima di lamentarvi.....

mercoledì 7 marzo 2012

Mutamenti.

Un mio collega, dopo l'ennesima lite telefonica con un cliente zuccone che non voleva adattarsi alle direttive aziendali che il poveretto aveva provato per l'ennesima volta a spiegargli, del tutto inutilmente, prima di buttare le cuffie sulla scrivania ed andare a farsi un pochino di pausa per sbollire, se ne è uscito con questa affermazione: il call center ha sempre ragione... e devo dire che mi ha fatto riflettere: è cambiato così tanto il rapporto con i clienti? Sì. La prima frase poteva dirlo il negoziante per andare incontro al cliente noto ed affezionato, in modo da fidelizzarlo e mantenere comunque corretto un rapporto personale e diretto.
Ora tra le aziende ed i clienti c'è un rapporto di tale distanza che le regole dell'azienda valgono di più delle necessità dei clienti. E le lamentele vengono gestite solo quando sono troppe, non quando sono motivate.
Per cui, come ha detto il mio collega, il call center ha sempre ragione.


lunedì 20 febbraio 2012

L'itagliano.

Sotto sotto mi piace lavorare in call center... mentirei se dicessi che non mi piace assolutamente. Non è un lavoro semplice, spesso è pesante e impegnativo, parlare ininterrottamente per sei/otto ore non è esattamente una passeggiata. Ma ho fatto di peggio nella mia vita, e non mi posso lamentare. E poi il contatto con i clienti garantisce delle gratifiche non da poco.
A volte involontarie, devo dire.
Non voglio dire che tutti quelli che lavorano in un call center siano colti, ma spesso mi sono accorta che è un posto di lavoro che raccoglie persone di tutte le provenienze, pertanto ci sono anche persone molto colte. Ed altre che lo sono meno, certamente, ma è raro per esempio trovare chi non sappia assolutamente parlare in italiano corretto, non fosse altro perchè non durerebbe oltre il primo rinnovo, se non sapesse esprimersi correttamente. Il nostro lavoro è fatto di parole, di comunicazione, pertanto occorre ed è discriminante la capacità di esprimersi chiaramente in un italiano fluente, semplice se non proprio forbito. Mi è capitato di conoscere persone molto interessanti e di passare i quindici minuti di pausa parlando di letteratura e filosofia, per esempio... in ogni caso ho avuto occasione di pensare che sia un lavoro che permette anche di allargare gli orizzonti, se non attraverso il lavoro, grazie ai colleghi.
Vorrei che si potesse dire lo stesso degli utenti...
Non so come si pongano certi utenti verso gli impiegati negli uffici, certo è che al telefono, probabilmente rassicurati dal fatto di poter chiamare dalla loro casetta, l'approccio spesso è quanto di più confidenziale: "Aho, senti... m'hai mandato qua un messaggio! Che c'è scritto?" mi ha detto nei giorni scorsi un cliente a cui erano arrivate lettere pubblicitarie... ma l'ho capito dopo almeno cinque minuti di domande, cercando anche di far pesare il "lei" con cui gli rispondevo.
Senza contare quelli che partono parlando in dialetto, convinti di star parlando con qualcuno che li capisce. Una mia collega, per altro di origini straniere, una volta si è sentita accusare di parlare troppo italiano. La mia collega ovviamente si è sentita vagamente insultata.
Io mi considero una persona colta, è vero. Leggo tantissimo e credo che la mia cultura personale, costruita pazientemente, abbia superato i limiti della mia effettiva preparazione scolastica. Ci è voluto tempo, interesse, curiosità personale, ma è stato un piacere farlo. E devo dire che non mi è mai pesato. Ma quando mi confronto con persone la cui cultura palesemente si ferma al tg4, mi chiedo perchè. Per quale ragione non provano a fare un passo in più? Spesso chiamano anche solo perché non riescono a comprendere una lettera semplicissima, un'informativa pubblicitaria, in cui è scritto a chiare lettere che si presenta un'offerta e non altro. Eppure, sembra che non riescano a decodificare altro che i saluti iniziali.
E non parlo di anziani, la cui formazione culturale risale agli anni trenta e che hanno passato la vita in una fabbrica, ma di giovani, ragazzi, sulle cui schede anagrafiche risulta anche una mail, pertanto hanno accesso ad uno dei sistemi di aggiornamento più rapidi ed estesi del mondo, il web. Se ben usato è una gigantesca enciclopedia, non sempre precisa o attendibile, certo, ma sufficiente a verificare ed ampliare il proprio punto di vista. Ed invece... ecco questi giovani che non riescono nemmeno a formulare una semplice domanda di informazioni al telefono, che parlano come se la costruzione di una frase fosse totalmente sconosciuta.
E che ti dicono, se parli italiano, che lo parli troppo in fretta, che non capiscono cosa stai dicendo.
Non voglio dire che sia tutta colpa della televisione, perché non è vero. A mio modestissimo avviso è anche colpa delle persone stesse. Non ci va tanto, anche nelle vite più convulse, per ritagliarsi il tempo di leggere un libro in più, per accorgersi, confrontandosi con il mondo esterno, di aver bisogno di imparare qualcos'altro, oltre alle liste dei giocatori di calcio. E non ci vuole poi tanto per imparare ogni giorno, ogni anno, qualcosa di nuovo.

venerdì 17 febbraio 2012

Nomi.


Ne leggi infiniti, quando fai un lavoro come il mio. E spesso hai la sensazione si ripetano. Mi è capitato in maniera inquietante sopratutto oggi, quando per tre volte mi è capitato lo stesso nome. Tre chiamate diverse, tre città diverse, tre età diverse e lo stesso nome. Non posso scriverlo, per ovvie ragioni di privacy, ma vi garantisco non era il solito, banale Giuseppe Rossi. Magari fosse stato quello. Era uno di quei nomi che noi operatori facciamo fatica a gestire, ridicolo, francamente imbarazzante, di quelli che ti chiedi che razza di genitori deve aver avuto, per avergli inflitto un destino del genere. Un nome che parla chiaramente di bullismo a scuola, fin dalla più tenera età, dal primo appello in classe in poi. Un nome che racconta, chiaramente come un tatuaggio, tutta un'adolescenza fatta di frustrazione e di prese in giro, di imbarazzo e di amici che ti chiedono, ma come cazzo ci convivi con un nome così? Sopratutto quando ad un nome del genere è associato un cognome ancora peggiore. Ma perché? Quale razza di perversione consente a due genitori, che presumibilmente si amano, che gioiscono della vita in arrivo, di poter dare al loro amato pargoletto un nome che sarà per tutta la sua vita motivo di vergogna, imbarazzo, frustrazione, dolore.
Non me la raccontano... quel bambino non lo volevano, ed hanno deciso di punirlo fin dalla culla. Fin dalla prima registrazione in anagrafe. Ma di impiegati pietosi che cercano di convincere il signore e la signora Indelicato a non chiamare il loro pargoletto Felice, non ce ne sono più? Ed ai signori Chiappa, perché nessuno ha spiegato che chiamar la figlia Bianca non sarebbe stato una bella cosa? Ed al signor Fanatico che non era una buona idea chiamare il figlio Salvatore?