martedì 26 giugno 2012

Nomi. Bis.

Giuro, non lo faccio apposta.. è che devo pure occupare il tempo tra una chiamata e l'altra, e sopratutto devo far viaggiare la mente oltre i divisori felpati della mia postazione, prima di cominciare ad inciderli con disegno di teschi come i carcerati del 1800. Per cui, in mancanza di altro, faccio congetture su come potrebbero incontrarsi e svilupparsi le storie tra clienti con nomi assurdi.
Tipo:
Che succederebbe se Angelo Caduto incontrasse Michele Arcangelo Guerriero?
... se Paride Troiani incontrasse Elena Lo Bello?
Ernesto Scornavacche incontrasse Amante Castratori?
Salvatore Generoso incontrasse Felice Mistico?
Giorgio De Giorgis incontrasse Giorgina Giorgianni??

E via dicendo... la cosa naturalmente più buffa è che nomi del genere sovente mi appaiono in sequenza, quasi che il caso con cui il server mi manda le chiamate in cuffia si divertisse a farmi scherzi. E devo dire che ogni tanto mi impedisce persino di parlare con il cliente, per non scoppiare a ridergli in faccia... come stava per capitarmi con il signor Santo Decrepito, residente per altro in Via del Cimitero, che mi è arrivato dritto dritto dopo il signor Felice Volante, abitante a Piscina, in provincia di Torino.

lunedì 28 maggio 2012

Doppia cuffia.

Il terrore dell'operatore. Tu al computer, i clienti che chiamano e dietro di te l'Ascoltatore. Sopratutto quando nell'altra cuffia ci sta il capo.
Qualsiasi genere di capo: il team leader, il vice team leader o il temutissimo Cliente, ovvero quello che ha comprato la commissione per il servizio clienti che stai svolgendo.. Cheppoi.

Mica è detto che il Cliente ci capisca poi una ceppa di quello che stai facendo.. a volte te li affiancano solo perchè gli stanno facendo fare il giro del call center per vendergli il servizio e te lo piazzano in doppia cuffia per fargli vedere quanto gli operatori sonobbravieccortesieccompetentieccazziemmazzi.

Risultato, la chiamata che ti entra, invece della solita standard, è di questo genere:

- Buongiorno e benvenuto in assistenza clienti sono Laura con chi ho il piacere di parlare?

- Abbella! Nun me fà 'ncazzo de ppiacere de pparlà cottè! Che m'hai mannato qua? Che è sta bbolletta de ventun euro? Chevvolete??

- SSi.. posso avere nome e cognome e data di nascita che recupero la sua pratica e vediamo?

Intanto mi giro e guardo l'Ascoltatore che mi guarda stranita, occhi spalancati, espressione attonita.

- Anvedi questa! Ma che te pensi che te do i miei dati che te me mandi poi tutta 'a pubblicità? E poi 'o sapete chi sono, sennò che m'avete mannata a fare sta bolletta? E che ve pago ventun euro peccosa?? Sete dei ladri, malfattori, strozzini, ecco che siete...

- Signora, mi rendo conto del problema, tuttavia senza i suoi dati anagrafici non posso visualizzare la sua pratica e veder se i 21 euro sono dovuti...

- Aho, abbella, nun sta a fa l'erudita comme sa? Chette usi sti paroloni? Che voi? Che te dico comme me chiamo? *detta un nome incomprensibile ed un gruppo di cifre a caso*

- Mi potrebbe ripetere, gentilmente? Più lentamente, magari...

- *la cliente ripete alla stessa velocità, alzando però la voce. Mi giro verso l'Ascoltatore e dopo una breve consultazione riusciamo a decifare il nome, mentre la cliente prosegue a sbraitare in qualche lingua bizzarra.*

- Abbella! Che hai trovato a pratica mia? Nun c'ho tutta a ggiornata pe stà a parlà cotte!

- Si, signora.. in realtà non ci deve 21 euro, ma sono 22mila euro presi in prestito per l'auto di suo figlio, signora... ha firmato anche lei, ricorda?

- *silenzio. Borbottii e strepiti in lontananza. Voce di uomo* Signorì, che sta a di?

- Sì, signore... le ricordo che ha stipulato un contratto di finanziamento per l'acquisto delll'auto...

- *interrompe* Aho, ma che stai a dì? Guarda che io nun c'ho l'auto! Io t'ho comprato lo stepper e l'abrocket, da te! E me voi fa pagà pure le spese di spedizione, che sò aggratise!

- Mi perdoni se la contraddico, ma mi risulta che abbiate comperato l'auto, in data **/**/**** per una rata di...

- Eccerto! Quello l'ho comprato col concessionario, mica co mediascioppinche! A nome de mi moje! Ma io c'ho sta bboletta da 21 euro che voi m'avete mannato...

- Mi scusi se la interrompo... lei sta parlando con la finanziaria, una delle tante su cui si appoggia mediashopping... non con mediashopping... ed a me non risulta alcun finanziamento per...

- *verso la moglie, avoce altissima* ASSU?? MA CHE NUMERO HAI FATTO, RINCOJONITA?? *riaggancia senza neanche salutare*

La cliente ed io ci scambiamo uno sguardo desolato. Restituisce la doppia cuffia, mi fa pat pat sulla spalla e mi dice buona fortuna.

mercoledì 9 maggio 2012

Indeterminato...

Non è che sia una bella situazione, di per sè... estrapolata dal contesto, l'indeterminazione ha un sapore sgradevole, quasi un senso di vaghezza, di stallo, di attesa. Tutte connotazioni non esattamente positive.
Quando invece si parla di lavoro, l'indeterminato è ormai diventato un sogno, una chimera, quasi un miraggio lontano ed irraggiungibile.
Ma se si avvera? Sopratutto, se si avvera sotto le cuffie? Che succede quando un lavoro normalmente considerato di passaggio, evanescente, temporaneo diventa indeterminato?
Sconcertante, ma vero.
All'improvviso ti trovi con questa strana sensazione, a metà tra l'euforico e lo sconfortato. Certo, ho avuto alla bella età di 42 anni l'agognato contratto a tempo indeterminato che ormai è quasi solo mitologia nel mondo lavorativo contemporaneo. Finalmente mi posso pianificare le ferie, il che non è poco, visto che fino a poco tempo fa per ferie consideravo il periodo più o meno lungo tra un lavoro e l'altro. E non è che fosse proprio riposante, eh... ma tant'è. Anzi, tant'era.
Dall'altra parte però ho la chiara prospettiva di anni e anni con le cuffie in testa. Come ho fatto fino ad ora, certo, ma almeno potevo pensare, più o meno incazzosamente, che sarebbe stato prima o poi un passaggio a qualcos'altro. Ora invece... Anni a rispondere al telefono, a dire circa le stesse cose, a parlare con gente sempre più o meno insoddisfatta/incazzosa/lamentosa e quant'altro.
Mi rendo così conto che anche la sensazione che provo ha un non so che di indeterminatezza. Uno strano oscillare tra la pace di un lavoro stabile, la consapevolezza di non dovermi mettere di nuovo a rinfrescare il mio curriculum tra tre/sei mesi come al solito, e la sensazione di una prigionia indeterminata, una specie di ergastolo.
Il solo sollievo è l'ambiente lavorativo. I colleghi, cioè: il fatto che in call center, pur con un discreto ricambio, trovi spesso gente interessante, persone creative con tante idee in testa e la possibilità di vedere gente nuova girarmi attorno.
Per cui certo, infine il risultato è positivo. Il miraggio non è più un miraggio.

giovedì 15 marzo 2012

Fatevi una vita.

È quello che ho letto come commento su facebook ad un post che prendeva più o meno bonariamente in giro il lavoro dell'operatore di call center... ne è nata una discussione, che non riporto, in cui l'autore del commento inveiva ferocemente contro l'operatore a suo dire colpevole di richiamarlo più volte la settimana per fargli la stessa offerta, convinto che si trattasse della stessa persona. Ragion per cui, secondo l'autore di questo commento, si trattava di una persona senza una vita personale che si divertiva a molestarlo per rifargli sempre la stessa domanda.
Ora mi pare il caso di spiegare come funzionano le chiamate, giusto perchè magari tra i miei quattro lettori c'è qualcuno che giustamente non lo sa... e perchè spero che con un pochino di passaparola magari prima o poi gli italiani arrivino a capire come funzionano le chiamate di telemarketing, come difendersi e sopratutto cosa pensare correttamente degli operatori, che sono tutt'altro che persone senza una vita sociale fissate con il frantumare i maroni al prossimo.
Quando stipuliamo un contratto di qualsiasi genere, con un operatore telefonico, così come per acquistare un'auto, facciamo di solito un paio di firme. La prima autorizza l'azienda in questione a trattare i dati personali per fini interni e per la gestione dell'anagrafica, onde poter erogare il servizio richiesto. Questa firma è obbligatoria, in quando da sostanzialmente il via al contratto tra il cliente e l'azienda.
La seconda firma invece è quella per dare il consenso alle comunicazioni a scopo commerciale.. e che ci infila nel gorgo oscuro dei call center di telemarketing. Ora, c'è un modo semplice per evitarlo. Non mettere la firma, che non è obbligatoria, oppure, se la firma è già stata fatta, iscriversi al Registro delle Opposizioni. In questa maniera, il proprio numero viene rimosso da qualsiasi elenco di telemarketing e non si riceve più alcuna comunicazione commerciale, di alcun genere. Ovviamente ha pro e contro, si perde anche l'occasione di venire informati di iniziative e offerte che magari potrebbero essere interessanti ed utili, ma è una maniera semplice per non venire più molestati...
Tuttavia una cosa voglio assolutamente chiarirla, a tutela dei miei colleghi in mille call center sparsi per l'Italia.  
Non è l'operatore a fare il numero. Mai. In nessun call center esiste più l'elenco di numeri da chiamare e l'operatore con il telefono e i numeri da digitare. Esiste un server, un infranet che pesca le anagrafiche sul server dell'azienda ed una linea voip, come quella di skype. Il server del call center pesca le anagrafiche e le fa "girare" chiamando a ripetizione i numeri finchè questi non rispondono. La sola cosa che fa l'operatore è leggere il nome su un pop up, leggere uno script con un'offerta sempre uguale per tutti, gestire eventuali obiezioni per tentare la vendita ed esitare la chiamata con un si, un no o un "chiama dopo", se non trova il cliente. E sovente, lo ammetto, se il cliente è maleducato si finisce di farlo passare in "chiama dopo" anche quando è un no, giusto come bizzarra forma di punizione. Quando il cliente non risponde dopo un certo numero di volte, più o meno alto a seconda dell'impostazione decisa dall'azienda, il server elimina l'anagrafica come irreperibile.
Per cui non è mai, ripeto MAI l'operatore che rifà il numero dello stesso cliente. Se ricapita con la stessa persona è per puro caso, a me in anni di lavoro è capitato rarissimamente.
Nel caso in cui si venga chiamati e richiamati più volte per quanto riguarda la stessa offerta, per la quale magari abbiamo già espresso un no, la spiegazione è un'altra: è solo causa di un server su cui girano poche anagrafiche e del fatto che non ti hanno ancora esitato con un no definitivo, per quella campagna. C'è da dire che talvolta l'azienda passa gli stessi nominativi a più call center, sperando che prima o poi qualcuno riesca a spremere i propri clienti... e per questo che possono arrivare più chiamate per la stessa offerta. Ma magari in una stessa giornata venite chiamati da quattro call center diversi, chi lo sa?
Ora... se per caso vi tartassano con mille chiamate, anche se siete esasperati per favore, non insultate l'operatore. Non è un lavoro divertente e nessuno che io conosca lo fa per divertimento, per rompere le balle alla gente e perchè non ha altro da fare. Potessimo faremmo tutti ben altro, questo ve lo posso garantire, lo pensiamo ogni volta che parliamo con l'ennesimo cliente scortese, che sarebbe meglio stare a casa a guardare la tele e giocare a Farmville su Facebook. Ma dato che ormai quello del call center è uno dei pochi lavori che si trovano, chi dice di no ad un contratto sotto le cuffie?
Provateci voi, prima di lamentarvi.....

mercoledì 7 marzo 2012

Mutamenti.

Un mio collega, dopo l'ennesima lite telefonica con un cliente zuccone che non voleva adattarsi alle direttive aziendali che il poveretto aveva provato per l'ennesima volta a spiegargli, del tutto inutilmente, prima di buttare le cuffie sulla scrivania ed andare a farsi un pochino di pausa per sbollire, se ne è uscito con questa affermazione: il call center ha sempre ragione... e devo dire che mi ha fatto riflettere: è cambiato così tanto il rapporto con i clienti? Sì. La prima frase poteva dirlo il negoziante per andare incontro al cliente noto ed affezionato, in modo da fidelizzarlo e mantenere comunque corretto un rapporto personale e diretto.
Ora tra le aziende ed i clienti c'è un rapporto di tale distanza che le regole dell'azienda valgono di più delle necessità dei clienti. E le lamentele vengono gestite solo quando sono troppe, non quando sono motivate.
Per cui, come ha detto il mio collega, il call center ha sempre ragione.


lunedì 20 febbraio 2012

L'itagliano.

Sotto sotto mi piace lavorare in call center... mentirei se dicessi che non mi piace assolutamente. Non è un lavoro semplice, spesso è pesante e impegnativo, parlare ininterrottamente per sei/otto ore non è esattamente una passeggiata. Ma ho fatto di peggio nella mia vita, e non mi posso lamentare. E poi il contatto con i clienti garantisce delle gratifiche non da poco.
A volte involontarie, devo dire.
Non voglio dire che tutti quelli che lavorano in un call center siano colti, ma spesso mi sono accorta che è un posto di lavoro che raccoglie persone di tutte le provenienze, pertanto ci sono anche persone molto colte. Ed altre che lo sono meno, certamente, ma è raro per esempio trovare chi non sappia assolutamente parlare in italiano corretto, non fosse altro perchè non durerebbe oltre il primo rinnovo, se non sapesse esprimersi correttamente. Il nostro lavoro è fatto di parole, di comunicazione, pertanto occorre ed è discriminante la capacità di esprimersi chiaramente in un italiano fluente, semplice se non proprio forbito. Mi è capitato di conoscere persone molto interessanti e di passare i quindici minuti di pausa parlando di letteratura e filosofia, per esempio... in ogni caso ho avuto occasione di pensare che sia un lavoro che permette anche di allargare gli orizzonti, se non attraverso il lavoro, grazie ai colleghi.
Vorrei che si potesse dire lo stesso degli utenti...
Non so come si pongano certi utenti verso gli impiegati negli uffici, certo è che al telefono, probabilmente rassicurati dal fatto di poter chiamare dalla loro casetta, l'approccio spesso è quanto di più confidenziale: "Aho, senti... m'hai mandato qua un messaggio! Che c'è scritto?" mi ha detto nei giorni scorsi un cliente a cui erano arrivate lettere pubblicitarie... ma l'ho capito dopo almeno cinque minuti di domande, cercando anche di far pesare il "lei" con cui gli rispondevo.
Senza contare quelli che partono parlando in dialetto, convinti di star parlando con qualcuno che li capisce. Una mia collega, per altro di origini straniere, una volta si è sentita accusare di parlare troppo italiano. La mia collega ovviamente si è sentita vagamente insultata.
Io mi considero una persona colta, è vero. Leggo tantissimo e credo che la mia cultura personale, costruita pazientemente, abbia superato i limiti della mia effettiva preparazione scolastica. Ci è voluto tempo, interesse, curiosità personale, ma è stato un piacere farlo. E devo dire che non mi è mai pesato. Ma quando mi confronto con persone la cui cultura palesemente si ferma al tg4, mi chiedo perchè. Per quale ragione non provano a fare un passo in più? Spesso chiamano anche solo perché non riescono a comprendere una lettera semplicissima, un'informativa pubblicitaria, in cui è scritto a chiare lettere che si presenta un'offerta e non altro. Eppure, sembra che non riescano a decodificare altro che i saluti iniziali.
E non parlo di anziani, la cui formazione culturale risale agli anni trenta e che hanno passato la vita in una fabbrica, ma di giovani, ragazzi, sulle cui schede anagrafiche risulta anche una mail, pertanto hanno accesso ad uno dei sistemi di aggiornamento più rapidi ed estesi del mondo, il web. Se ben usato è una gigantesca enciclopedia, non sempre precisa o attendibile, certo, ma sufficiente a verificare ed ampliare il proprio punto di vista. Ed invece... ecco questi giovani che non riescono nemmeno a formulare una semplice domanda di informazioni al telefono, che parlano come se la costruzione di una frase fosse totalmente sconosciuta.
E che ti dicono, se parli italiano, che lo parli troppo in fretta, che non capiscono cosa stai dicendo.
Non voglio dire che sia tutta colpa della televisione, perché non è vero. A mio modestissimo avviso è anche colpa delle persone stesse. Non ci va tanto, anche nelle vite più convulse, per ritagliarsi il tempo di leggere un libro in più, per accorgersi, confrontandosi con il mondo esterno, di aver bisogno di imparare qualcos'altro, oltre alle liste dei giocatori di calcio. E non ci vuole poi tanto per imparare ogni giorno, ogni anno, qualcosa di nuovo.

venerdì 17 febbraio 2012

Nomi.


Ne leggi infiniti, quando fai un lavoro come il mio. E spesso hai la sensazione si ripetano. Mi è capitato in maniera inquietante sopratutto oggi, quando per tre volte mi è capitato lo stesso nome. Tre chiamate diverse, tre città diverse, tre età diverse e lo stesso nome. Non posso scriverlo, per ovvie ragioni di privacy, ma vi garantisco non era il solito, banale Giuseppe Rossi. Magari fosse stato quello. Era uno di quei nomi che noi operatori facciamo fatica a gestire, ridicolo, francamente imbarazzante, di quelli che ti chiedi che razza di genitori deve aver avuto, per avergli inflitto un destino del genere. Un nome che parla chiaramente di bullismo a scuola, fin dalla più tenera età, dal primo appello in classe in poi. Un nome che racconta, chiaramente come un tatuaggio, tutta un'adolescenza fatta di frustrazione e di prese in giro, di imbarazzo e di amici che ti chiedono, ma come cazzo ci convivi con un nome così? Sopratutto quando ad un nome del genere è associato un cognome ancora peggiore. Ma perché? Quale razza di perversione consente a due genitori, che presumibilmente si amano, che gioiscono della vita in arrivo, di poter dare al loro amato pargoletto un nome che sarà per tutta la sua vita motivo di vergogna, imbarazzo, frustrazione, dolore.
Non me la raccontano... quel bambino non lo volevano, ed hanno deciso di punirlo fin dalla culla. Fin dalla prima registrazione in anagrafe. Ma di impiegati pietosi che cercano di convincere il signore e la signora Indelicato a non chiamare il loro pargoletto Felice, non ce ne sono più? Ed ai signori Chiappa, perché nessuno ha spiegato che chiamar la figlia Bianca non sarebbe stato una bella cosa? Ed al signor Fanatico che non era una buona idea chiamare il figlio Salvatore?  

venerdì 10 febbraio 2012

Il Fanta Call Center.


Nella sede principale della Acme Inc. si radunavano quella mattina tutti gli operatori, pronti come al solito per cominciare la giornata di lavoro.. al primo piano la sezione outbound, dove gestivano il telemarketing, da dove partivano le chiamate per gli utenti ed al secondo piano c'era l'assistenza clienti, il numero verde al quale i clienti potevano chiamare per effettuare ordini o lamentare disservizi. La Acme produceva da tempo immemorabile qualunque genere di bene utile al fanta mondo, dalle bacchette magiche ai vari marchingegni che il caro Wil Coyote, uno dei clienti più antichi ed affezionati, chiedeva di costruire per catturare il rapidissimo Beepbeep.
Quella mattina si prospettava uguale a tutte le altre, per gli operatori...

«Benvenuto in Acme, sono Elena, come posso aiutarla?» era il saluto standard per ogni chiamata all'assistenza clienti.

«Elena...» disse la voce cavernosa. «Non sono arrivati i miei canini di ricambio... in compenso ho ricevuto una confezione di tabacco da pipa dallo Sri Lanka di cui sinceramente non so cosa farne.»

«Buongiorno Conte Dracula!» esclamò Elena, leggendo i dati del cliente nel pop up che era seguito allo squillo, sullo schermo del suo pc. «Mi faccia controllare.. mi fornisce gentilmente il codice della fornitura?»

La voce cavernosa sospirò di impazienza, recitando una sequela di cifre.

«Ma certo, Conte... ecco qua la spedizione, partita esattamente dieci giorni orsono. Controlliamo di nuovo l'indirizzo, mi risulta sia stata spedita a Baker Street 221/b, è corretto?»

«Signorina, ma stiamo scherzando? Io sto nei Carpazi! Transilvania, Castel Dracula! Lo sanno anche i sassi!» disse il Conte alzando i toni della voce, che si rivelò più vicina ad un acuto tenorile che al bisbiglio cavernoso che di solito usava per incantare le ragazze.

La centralinista sobbalzò, mentre controllava di nuovo la spedizione.

«Ha ragione Conte... il tabacco era per il Signor Holmes, che ha ovviamente ricevuto la sua dent.. i suoi canini! Ci perdoni, provvedo subito a rimandarle il corriere per il ritiro e nel giro di tre giorni le facciamo avere quello che ci ha chiesto, con la posta celere a nostre spese!»

«Sarà meglio... sono stufo di dover sgozzare le vittime invece di morderle! Non è la stessa cosa, sa?»

«Lo immagino, Conte...» rispose la ragazza, mentre dietro di lei un altro collega prendeva un'al'tra chiamata.

«Benvenuto in Acme sono Giorgio, come posso aiutarla?» fece intanto eco il collega alle sue spalle.

«Giorgio sono Lucius Fox... dovrei fare un'ordinazione massiccia di stivali imbottiti. La scorsa settimana ha nevicato in abbondanza su Gotham City ed il capo ha scoperto di aver freddo ai piedi.»

«Lo immagino, certo... ho visto che sono scesi oltre ottanta centimetri di neve, nel giro di una notte!» disse il giovane centralinista, mentre cercava il numero di scarpe nell'anagrafica di Bruce Wayne. «Quanti ve ne mando? Sempre allo stesso indirizzo?»

«Dodici paia.. sempre alla Wayne Manor, certo. E mi mandi anche quattro scatole di callifugo, pare che gli altri stivali da mezza stagione fossero stretti...»

Al piano di sotto invece Renza stava facendo squillare un telefono piazzato in una cabina d'astronave, dove una mano proveniente da un letto sfatto ed attaccata ad un gigante peloso che stava a mala pena risvegliandosi, lo prese dal comodino per portarselo alla guancia.

«Buongiorno!» Esclamò l'operatrice al telefono non appena Chewbacca grugnì infastidito nella cornetta. «Cercavo il signor Han Solo, se era possibile... volevamo sapere se poteva essere interessato ad una nuova fornitura di spade laser...»

Il gigantesco meccanico mugolò un paio di insulti in una lingua che per fortuna Renza non comprese, prima di riagganciare e rimettersi a dormire. Purtroppo il comunicatore tornò a squillare dopo mezz'ora e lo rifece altre due volte, con la medesima distanza di tempo, prima che il wookie si decidesse infine a staccare il comunicatore dalla parete.

Altrove, un telefono stava squillando in casa Dog.

«Buongiorno sono Patrizia della Acme! Cercavo il Signor Marx, per favore! Ah, buongiorno, signor Marx... la contattavo oggi per chiederle se aveva ricevuto il set della bambola gonfiabile vestita da infermierina che ci ha ordinato il mese scorso. Ah, perfetto! Se lo ha gradito, abbiamo in serbo per lei un'offerta speciale.. un set americano di collari e manette di velluto e di peluches che sono sicura saranno di suo gradimento.. Ah, capisco... certo, era per il signor Dog la bambola? Certo, come no.. va bene, se fosse interessato, potrà comunque ricontattarci al numero verde del servizio clienti!»

Le chiamate si susseguivano rapidamente... ogni cliente aveva un'offerta prefissata, stabilita dal settore marketing studiando gli acquisti ricorrenti, e nel suo ufficio Crudelia Demon stava guardando i grafici di vendita. Fumava insoddisfatta, camminando avanti e indietro e pensando. I prezzi delle forniture fantasy stavano aumentando a dismisura e con la prossima uscita nei cinema dello Hobbit, le richieste sarebbero schizzate alle stelle, ma facevano fatica a sostenere i costi di produzione. Non restava altro da fare: anche se il lavoro andava a gonfie vele, dovevano licenziare tutto il personale del call center, togliersi dalle scatole i lavoratori a lunga scadenza e gli apprendisti e riprendere di nuovo interinali, approfittando delle sovvenzioni statali per pagare meno trattenute e potersi permettere le nuove forniture. Sorrise malevola, mentre faceva la telefonata all'ufficio personale per comunicare la notizia alla direttrice, la Regina Cattiva. Risero entrambe, mentre calcolavano i nuovi fatturati grazie a quell'operazione.  

giovedì 9 febbraio 2012

Ennesimo turno....


Ennesimo turno...

collegati! connettiti! comincia! comunica, commenta, contenta? costernata, camminata continua, contusa, cornuta!

abbassate i tempi! tenete bassi i menti! mentite alle menti! hai una mentina? mattinata munita di molte minchiate... mattutina monta di mostri.

FURIA! furiosa, ferita, farneticante, furibonda! ignota insultante, vomita veleno, vale meno di niente...

altra chiamata, altra chiamata... ancora delirio, ancora deliro, ancora attesa...

pausa. sigaretta? no sto cercando di smettere. si sono troppo stressata... fatica...

riparti! rincorri il rincitrullito, rispiegagli che si riparte sempre allo stesso modo!
rispiega, ridispiega, rigira, ristira, rimangia, riconnetti, ridimmi, ripristina, riconfigura... ricon-figurarsi... ripeti ripeti ripeti, sempre le stesse frasi ininterrorramente....

chiamate, utenti, clienti, anagrafiche, applicativi, account, discount, login, logoff, routing, no routing, no browsing, no calling id, dn, dac, ull, polt, pots, pppoe, oa, vcmux, kkazzneso?

silenzio, piattezza, immobilità, incolore vuoto disfatto.
pazienza, pertinenza, imperitura inconsistenza.

ancora una chiamata, ancora una, un'altra, un'altra ancora e non passa, non passa...
aspetta.
pausa. silenzio. scendi? no, aspetto.

collegati! scollegati, scollati, scansati, molla il colpo, ascolta, pazienta, mimetizzati, minimizza, magnetizza, memorizza, martirizzata.

fine... finalmente finita la futile follia. fluisco fuori, furtivamente, fissando il cielo. piove? no, finalmente...

casa. silenzio, musica, fumo.... sonno...

e domani di nuovo.

martedì 7 febbraio 2012

Galateo demenziale per i contatti con i call center.

Oggi ne sentivo proprio il bisogno.... divulgo giusto un paio di idee che mi sono venute mentre ricevevo l'ennesimo urlo in faccia dall'utente incazzato:


  • Quando chiamate un call center, tenete sempre a portata di mano carta e penna, PRIMA DI CHIAMARE! I nostri tempi sono ristretti, se ci fate aspettare troppo siamo costretti a riagganciare! 
  • NON INSULTATECI! Anche se avete l'impressione di aver a che fare con un operatore scazzato e poco competente, non ottenete NULLA alzando la voce ed insultando. Anzi, ottenete una cornettata in faccia e la fatica di richiamare. 
  • ASCOLTATE L'OPERATORE! Il più delle volte sa di cosa parla, e di sicuro ne sa più di voi sul prodotto, altrimenti non potrebbe fare il lavoro che fa. 
  • NON RACCONTATE VITA MORTE E MIRACOLI! Non siamo interessati, e non ci è utile sapere quello che ha fatto vostra nonna ed il vostro migliore amico, per risolvere il problema! E le chiamate devono esser brevi... non volete rischiare di dover richiamare, vero? 
  • Sappiate che i turni sono lunghi e pesanti. Cerchiamo sempre di esser gentili, ma ogni tanto qualche cliente ci fa scappar la pazienza e capita che ci portiamo l'incazzatura anche nella chiamata successiva. Siamo umani, sapete? 
  • Non chiedete di parlare con un responsabile, non c'è. Nel senso che i call center non sono la filiale o la sede operativa centrale dell'azienda che state chiamando, per quanto insistano di farci affermare il contrario. Noi quelli dell'azienda per cui lavoriamo spesso non li abbiamo mai visti nemmeno in foto. 
  • Se vi dicono che non possono risolvere il vostro problema, non è per cattiva volontà! Ci sono procedure a cui attenersi in tutte le aziende e spesso non è facile nemmeno per noi gestire certi problemi, per cui calma e sangue freddo, da entrambe le parti. Urlare contro un operatore non risolve niente. 
  • Non siamo noi i responsabili di eventuali disservizi. Lo ripeto, caso mai non lo abbiate compreso: NON SIAMO NOI AL TELEFONO AD ESSER RESPONSABILI DI EVENTUALI DISSERVIZI! Siamo solo operatori telefonici. 
Ora, come potete capire, questo è sostanzialmente uno sfogo. Io lavoro sia per assistenza clienti che per telemarketing ed ogni tanto penso che far assistenza clienti sia una specie di punizione divina per i miei peccati passati, sopratutto quando cozzo contro il cliente furibondo che mi prende per capro espiatorio di tutte le sue sfighe esistenziali. Spiacente di disilludere, non è così. 
Per cui, prima di chiamare l'assistenza clienti... respirate, fate due passi, fate una scopata e RILASSATEVI! 
Grazie infinite da me e dalle migliaia di miei colleghi sparsi per l'Italia. 


lunedì 6 febbraio 2012

L'urlo del call center


Mio padre, sindacalista in fabbrica dai tempi di Matusalemme, mi raccontava che una volta, nelle catene di montaggio, esisteva l'urlo della catena, una sorta di grido globale del macchinario che stordiva la gente e la mandava a casa rimbambita dal rumore. Ora, tra i Cipputi del terzo millennio, esiste l'urlo del call center.
Fateci caso, se chiamate un qualunque call center in inbound, di sottofondo alla voce dell'operatore si sente un brusio, un vociare come un mercato. Sono i colleghi, una popolazione variabile tra le 30 e le 150 persone, dipende dalla capienza e dalla disposizione dei locali e delle postazioni di computer. Uno schiamazzare continuo, dai toni variabili, che aumenta e scende a seconda degli orari, cui di solito si aggiunge il collerico sbraitare di qualche team leader, specialmente le donne, che istericamente urla "Tenete bassi i tempi! Alzate gli indici!". Già, perchè in inbound paga chi riceve la chiamata e non chi chiama, per questo sono numeri verdi, e questo vuol dire che bisogna lavorare a folle velocità ed esaurire al minimo le chiacchiere con il clt, per cui non stupitevi se gli operatori con cui parlate non si fanno sfuggire nemmeno un sorrisino di fronte alla più audace delle battute, fanno solo perder tempo... oggi, giornata di tregenda, con mille chiamate in coda e clienti da gestire a velocità da record, avevo in cuffia uno spiritosone che ha cercato tutto il tempo di farmi ridere ed alla fine si è anche un pò offeso, perchè lo rimbalzavo sistematicamente a suon di rumoroso silenzio. Ovviamente quando sono uscita ho isolato con la musica tutti i rumori circostanti, viaggiando in bus con solo il suono del mio mp3 a tenermi compagnia. Paradossalmente, preferisco quello al vociare dei ragazzini che abitano quanto me i bus cittadini. Per curiosità, fate un sondaggo tra le vostre conoscenze, se c'è qualche operatore di call center quasi sicuramente quando esce dal lavoro il cell lo lascia silenziato per almeno un'oretta. Io a volte anche per giorni. E nei giorni di pausa adoro il silenzio, chissà come mai...
Una volta adoravo parlare al telefono, ora sono anni che non ne posso più. Sono passata alla parola scritta, sia sms che mail, e se qualche amico lontano mi propone una chiacchierata via Skype declino l'invito, anche quando si tratta di amici che non sento da molto. Ma vivere sotto le cuffie la maggior parte della giornata mi ha resa refrattaria all'uso dei mezzi di comunicazione telefonica, per quanto spesso finisca per usarli anche io. Ma quando torno a casa, voglio solo il silenzio.

domenica 5 febbraio 2012

Facce da call center


In call center ci sono strani animali. Noi che viviamo delle nostre voci siamo spesso talmente pittoreschi che chi non ci vede si perde la cosa migliore di noi. Creste, piercing a profusione, tatuaggi, abbigliamento estroso, quasi che il fatto di avere un lavoro che ci rende virtualmente invisibili ci spinga a cercare una maggiore visibilità tra coloro che ci stanno accanto. Spesso semplicemente è un modo tale di essere che non si concilierebbe affatto con altri posti di lavoro, e che qui trova posto senza nemmeno parere così strano, altre volte invece è una volontaria ricerca di visibilità, un modo per far vedere ai colleghi che “ci sono anch’io”. Dall’altra parte ci sono anche quelli che nel call trovano la possibilità di nascondersi nel proprio anonimato come in una nicchia tranquillizzante, un modo per poter passare ulteriormente inosservati. Capita anche di notare che chi lavora al telefono sia in realtà sostanzialmente timido, molto più abile nella comunicazione con estranei di cui non si sa nulla a parte la voce, piuttosto che in rapporti umani diretti. Il telefono nasconde, mimetizza, allontana. Tornando alla riflessione di qualche giorno fa, proprio il mezzo con cui cerchiamo di comunicare, di avvicinarci, invece ci allontana ulteriormente, ci isola. Ed infatti dal call center cerchiamo tutti di evadere, in un modo o nell’altro, perché per quanto possa piacerci come lavoro, ed a me per esempio piace, è il lavoro precario per eccellenza. È senza futuro per definizione, è il passaggio a qualcosa di meglio, anche se il meglio spesso è solo il prossimo call center, in cui magari lavori più comodo o con un contratto più lungo o con postazioni e team leader migliori.
Le prossime sono le storie raccolte e liberamente elaborate di alcuni che ho conosciuto lavorando in call center. Sono leggende, nel senso che sono inventate, ma c’è una base di verità in tutte. Le ho rielaborate per rispetto della privacy delle persone che conosco, ma se vi riconoscete non vi offendete: non sto raccontando VOI, ma NOI.
Cinico: 39 anni, giornalista, due anni fa ha avuto una figlia, inaspettatamente. La sua compagna fa l’insegnante di supporto, ha 35 anni ed è diventata di ruolo l’anno scorso. Lui ha chiesto un trasferimento al giornale per cui lavorava per stare vicino alla famiglia e lo hanno gentilmente lasciato a casa. Ora gira per call center e di solito resiste pochissimo, perché s’incazza per le ingiustizie che vede e litiga con i team leader.
Foxy: 24 anni, studentessa universitaria, cerca da un anno di metter su casa col fidanzato, ma anche lui studia e lavora come stagista in comune, lo pagano un forfait al termine dello stage, senza soldi cronicamente, vive con la mamma separata e la sorella maggiore, tornata a casa dopo due anni di matrimonio fallito miseramente con un figlio di 6 mesi.
Bellolui: 35 anni dichiarati ma da dimostrare, lampadatissimo, bello come il sole, sempre alla moda, abita ancora in famiglia, studia fuori corso economia e commercio, ma giusto per passare il tempo, lavora in callish giusto per pagarsi la macchina e le serate in giro con gli amici. In realtà cerca la donna giusta ed ha paura di trovarla e così fugge dalla vita in call center.
Conan: 29 anni, metallaro fino al midollo, sposato e padre da quattro anni, la compagna fa la parrucchiera in casa, per fortuna, visto che è il solo lavoro rimasto sicuro in Italia, sempre incazzato col mondo e RSU in call, in due con la bimba ed il cane campano a stento, son tre anni che in ferie vanno a Rosolina nella casa dei nonni.
Stella: 41 anni, single con due figli adolescenti, fuma come una ciminiera e lavora in due call center diversi, uno di recupero crediti, l’altro di vendita telefonica, così completa il cerchio, dice. Ha lavorato per anni in un call center erotico, dove con quella voce era richiestissima, ma ora di maschi non ne vuol vedere nemmeno la foto.
Sognatore: 34 anni, attore a tempo perso, laureando in legge da tempo immemorabile, gay. Ha messo su casa da un anno col compagno, anche lui conosciuto in call center, una piccolissima mansarda in centro che costa tutto il suo stipendio, ogni volta che ad uno dei due scade il contratto lui si ridipinge la faccia di bianco, si mette la tuta candida, la corona da statua della libertà e va in piazza a fare il mimo statua per alzare qualche spicciolo in più.
Elettra: 28 anni, magra al limite dell’anoressia, single cronica, timidissima, abita con la mamma anziana e malata, registra da tempo infinito tutte le puntate di beautiful, cerca di convincersi che appena troverà l’uomo giusto cambierà la sua vita, ma per ora continua a fare l’infermiera per sua madre e sognarsi una vita che non fa.
Tenebra: 27 anni, chitarrista goth, pieno di tatuaggi e di piercing al punto da far suonare le barre antiintrusione degli aeroporti, ormai ha quasi perso le speranze di sfondare, ma gira tutte le settimane la regione per suonare con la sua band, perché alla passione non si comanda. Abita con la nonna, in una cascina fuori città e si fa un’ora di treno tutte le mattine per venire a lavorare. Lo scorso anno ha rotto la chitarra elettrica e si è venduto l’auto per poterla ricomprare senza chiedere prestiti a nessuno.
Magnifico: 32 anni, architetto, cerca da anni di fare quello per cui ha studiato, ma lo prendono solo come stagista e poi lo lasciano a casa, abita ancora a casa con i suoi, nella mansarda che si è rimesso a posto da solo, in cui si è trasferita da un anno anche la fidanzata. Stanno cercandosi casa ma costa sempre troppo.
Raggiodiluna: 42 anni, divorziata da cinque, vive sola con due gatti ed arriva a stento a fine mese, pensa sempre a quanto le sarebbe piaciuto scrivere best sellers e per ora scrive questo blog. Per pagarsi il dentista ha dovuto chiedere dei soldi a mamma, ed anche per quest’anno, il quinto di fila, non si parla di ferie nemmeno a morire.

Punti in comune? PRECARI, tutti quanti. Dalle aule della politica continuano a raccontarci balle sulle bellezze della flessibilità, sul fatto di aver trasformato il lavoro in continue esperienze di crescita e cambiamento, ma qua la sola cosa con cui tutti noi facciamo i conti è il nulla che abbiamo davanti, il nulla che possiamo offrire ai nostri figli, il nulla che compone le nostre prospettive future, il nulla che ci aspetta l’ultima settimana del mese, quando i conti li paghi con le promesse e la speranza.
Quanti di noi si stanno chiudendo nello stanzino delle scope, convinti che non ci sia più nulla da fare?
Quanti di noi stanno provando almeno a fare incazzare quanta più gente è possibile, sperando che serva a far pensare, a far discutere? E prima o poi, a far anche cambiare due o tre cose?
Io sono qua a fare questo, scrivo perché spero che vi riconosciate, e vi incazziate. E non vi rinchiudiate nello stanzino delle scope a piangere, ma vi mettiate a pensare, ad informarvi, a rifiutarvi di ingoiare altra merda. Od almeno a risputarla in faccia a chi ve l’ha fatta ingoiare a forza.

Un nuovo blog

Sì, un nuovo blog. Per raccontare le storie che vivo abitualmente, o almeno, una version piuttosto corretta della realtà che vivo quotidianamente.
Lavoro in un call center da circa otto anni. Ne ho girati parecchi e sono ora tre anni che lavoro sempre nello stesso. Ho fatto di tutto, outbound, inbound, telemarketing, assistenza ai clienti, e come tanti operatori di call center ho pensato che ci sia materiale abbondante, tra i clienti ed i colleghi, da farne un libro. O se non si riesce, vista la difficoltà ad entrare nel mondo dell'editoria, almeno da farne un blog.
Per cui è questo che conterrà, questo blog: le storie di call center. Vere e false, racconti quotidiani e racconti di fantasia. Per descrivere una realtà complessa come questa, non basta il mondo reale... ed anche la più realistica delle storie ha bisogno di un punto di fuga nella fantasia, per esser raccontata al meglio. Quindi, da qui cominciano le storie di call center.
Buona lettura, per i quattro lettori che mi seguono!