lunedì 20 febbraio 2012

L'itagliano.

Sotto sotto mi piace lavorare in call center... mentirei se dicessi che non mi piace assolutamente. Non è un lavoro semplice, spesso è pesante e impegnativo, parlare ininterrottamente per sei/otto ore non è esattamente una passeggiata. Ma ho fatto di peggio nella mia vita, e non mi posso lamentare. E poi il contatto con i clienti garantisce delle gratifiche non da poco.
A volte involontarie, devo dire.
Non voglio dire che tutti quelli che lavorano in un call center siano colti, ma spesso mi sono accorta che è un posto di lavoro che raccoglie persone di tutte le provenienze, pertanto ci sono anche persone molto colte. Ed altre che lo sono meno, certamente, ma è raro per esempio trovare chi non sappia assolutamente parlare in italiano corretto, non fosse altro perchè non durerebbe oltre il primo rinnovo, se non sapesse esprimersi correttamente. Il nostro lavoro è fatto di parole, di comunicazione, pertanto occorre ed è discriminante la capacità di esprimersi chiaramente in un italiano fluente, semplice se non proprio forbito. Mi è capitato di conoscere persone molto interessanti e di passare i quindici minuti di pausa parlando di letteratura e filosofia, per esempio... in ogni caso ho avuto occasione di pensare che sia un lavoro che permette anche di allargare gli orizzonti, se non attraverso il lavoro, grazie ai colleghi.
Vorrei che si potesse dire lo stesso degli utenti...
Non so come si pongano certi utenti verso gli impiegati negli uffici, certo è che al telefono, probabilmente rassicurati dal fatto di poter chiamare dalla loro casetta, l'approccio spesso è quanto di più confidenziale: "Aho, senti... m'hai mandato qua un messaggio! Che c'è scritto?" mi ha detto nei giorni scorsi un cliente a cui erano arrivate lettere pubblicitarie... ma l'ho capito dopo almeno cinque minuti di domande, cercando anche di far pesare il "lei" con cui gli rispondevo.
Senza contare quelli che partono parlando in dialetto, convinti di star parlando con qualcuno che li capisce. Una mia collega, per altro di origini straniere, una volta si è sentita accusare di parlare troppo italiano. La mia collega ovviamente si è sentita vagamente insultata.
Io mi considero una persona colta, è vero. Leggo tantissimo e credo che la mia cultura personale, costruita pazientemente, abbia superato i limiti della mia effettiva preparazione scolastica. Ci è voluto tempo, interesse, curiosità personale, ma è stato un piacere farlo. E devo dire che non mi è mai pesato. Ma quando mi confronto con persone la cui cultura palesemente si ferma al tg4, mi chiedo perchè. Per quale ragione non provano a fare un passo in più? Spesso chiamano anche solo perché non riescono a comprendere una lettera semplicissima, un'informativa pubblicitaria, in cui è scritto a chiare lettere che si presenta un'offerta e non altro. Eppure, sembra che non riescano a decodificare altro che i saluti iniziali.
E non parlo di anziani, la cui formazione culturale risale agli anni trenta e che hanno passato la vita in una fabbrica, ma di giovani, ragazzi, sulle cui schede anagrafiche risulta anche una mail, pertanto hanno accesso ad uno dei sistemi di aggiornamento più rapidi ed estesi del mondo, il web. Se ben usato è una gigantesca enciclopedia, non sempre precisa o attendibile, certo, ma sufficiente a verificare ed ampliare il proprio punto di vista. Ed invece... ecco questi giovani che non riescono nemmeno a formulare una semplice domanda di informazioni al telefono, che parlano come se la costruzione di una frase fosse totalmente sconosciuta.
E che ti dicono, se parli italiano, che lo parli troppo in fretta, che non capiscono cosa stai dicendo.
Non voglio dire che sia tutta colpa della televisione, perché non è vero. A mio modestissimo avviso è anche colpa delle persone stesse. Non ci va tanto, anche nelle vite più convulse, per ritagliarsi il tempo di leggere un libro in più, per accorgersi, confrontandosi con il mondo esterno, di aver bisogno di imparare qualcos'altro, oltre alle liste dei giocatori di calcio. E non ci vuole poi tanto per imparare ogni giorno, ogni anno, qualcosa di nuovo.

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