domenica 5 febbraio 2012

Facce da call center


In call center ci sono strani animali. Noi che viviamo delle nostre voci siamo spesso talmente pittoreschi che chi non ci vede si perde la cosa migliore di noi. Creste, piercing a profusione, tatuaggi, abbigliamento estroso, quasi che il fatto di avere un lavoro che ci rende virtualmente invisibili ci spinga a cercare una maggiore visibilità tra coloro che ci stanno accanto. Spesso semplicemente è un modo tale di essere che non si concilierebbe affatto con altri posti di lavoro, e che qui trova posto senza nemmeno parere così strano, altre volte invece è una volontaria ricerca di visibilità, un modo per far vedere ai colleghi che “ci sono anch’io”. Dall’altra parte ci sono anche quelli che nel call trovano la possibilità di nascondersi nel proprio anonimato come in una nicchia tranquillizzante, un modo per poter passare ulteriormente inosservati. Capita anche di notare che chi lavora al telefono sia in realtà sostanzialmente timido, molto più abile nella comunicazione con estranei di cui non si sa nulla a parte la voce, piuttosto che in rapporti umani diretti. Il telefono nasconde, mimetizza, allontana. Tornando alla riflessione di qualche giorno fa, proprio il mezzo con cui cerchiamo di comunicare, di avvicinarci, invece ci allontana ulteriormente, ci isola. Ed infatti dal call center cerchiamo tutti di evadere, in un modo o nell’altro, perché per quanto possa piacerci come lavoro, ed a me per esempio piace, è il lavoro precario per eccellenza. È senza futuro per definizione, è il passaggio a qualcosa di meglio, anche se il meglio spesso è solo il prossimo call center, in cui magari lavori più comodo o con un contratto più lungo o con postazioni e team leader migliori.
Le prossime sono le storie raccolte e liberamente elaborate di alcuni che ho conosciuto lavorando in call center. Sono leggende, nel senso che sono inventate, ma c’è una base di verità in tutte. Le ho rielaborate per rispetto della privacy delle persone che conosco, ma se vi riconoscete non vi offendete: non sto raccontando VOI, ma NOI.
Cinico: 39 anni, giornalista, due anni fa ha avuto una figlia, inaspettatamente. La sua compagna fa l’insegnante di supporto, ha 35 anni ed è diventata di ruolo l’anno scorso. Lui ha chiesto un trasferimento al giornale per cui lavorava per stare vicino alla famiglia e lo hanno gentilmente lasciato a casa. Ora gira per call center e di solito resiste pochissimo, perché s’incazza per le ingiustizie che vede e litiga con i team leader.
Foxy: 24 anni, studentessa universitaria, cerca da un anno di metter su casa col fidanzato, ma anche lui studia e lavora come stagista in comune, lo pagano un forfait al termine dello stage, senza soldi cronicamente, vive con la mamma separata e la sorella maggiore, tornata a casa dopo due anni di matrimonio fallito miseramente con un figlio di 6 mesi.
Bellolui: 35 anni dichiarati ma da dimostrare, lampadatissimo, bello come il sole, sempre alla moda, abita ancora in famiglia, studia fuori corso economia e commercio, ma giusto per passare il tempo, lavora in callish giusto per pagarsi la macchina e le serate in giro con gli amici. In realtà cerca la donna giusta ed ha paura di trovarla e così fugge dalla vita in call center.
Conan: 29 anni, metallaro fino al midollo, sposato e padre da quattro anni, la compagna fa la parrucchiera in casa, per fortuna, visto che è il solo lavoro rimasto sicuro in Italia, sempre incazzato col mondo e RSU in call, in due con la bimba ed il cane campano a stento, son tre anni che in ferie vanno a Rosolina nella casa dei nonni.
Stella: 41 anni, single con due figli adolescenti, fuma come una ciminiera e lavora in due call center diversi, uno di recupero crediti, l’altro di vendita telefonica, così completa il cerchio, dice. Ha lavorato per anni in un call center erotico, dove con quella voce era richiestissima, ma ora di maschi non ne vuol vedere nemmeno la foto.
Sognatore: 34 anni, attore a tempo perso, laureando in legge da tempo immemorabile, gay. Ha messo su casa da un anno col compagno, anche lui conosciuto in call center, una piccolissima mansarda in centro che costa tutto il suo stipendio, ogni volta che ad uno dei due scade il contratto lui si ridipinge la faccia di bianco, si mette la tuta candida, la corona da statua della libertà e va in piazza a fare il mimo statua per alzare qualche spicciolo in più.
Elettra: 28 anni, magra al limite dell’anoressia, single cronica, timidissima, abita con la mamma anziana e malata, registra da tempo infinito tutte le puntate di beautiful, cerca di convincersi che appena troverà l’uomo giusto cambierà la sua vita, ma per ora continua a fare l’infermiera per sua madre e sognarsi una vita che non fa.
Tenebra: 27 anni, chitarrista goth, pieno di tatuaggi e di piercing al punto da far suonare le barre antiintrusione degli aeroporti, ormai ha quasi perso le speranze di sfondare, ma gira tutte le settimane la regione per suonare con la sua band, perché alla passione non si comanda. Abita con la nonna, in una cascina fuori città e si fa un’ora di treno tutte le mattine per venire a lavorare. Lo scorso anno ha rotto la chitarra elettrica e si è venduto l’auto per poterla ricomprare senza chiedere prestiti a nessuno.
Magnifico: 32 anni, architetto, cerca da anni di fare quello per cui ha studiato, ma lo prendono solo come stagista e poi lo lasciano a casa, abita ancora a casa con i suoi, nella mansarda che si è rimesso a posto da solo, in cui si è trasferita da un anno anche la fidanzata. Stanno cercandosi casa ma costa sempre troppo.
Raggiodiluna: 42 anni, divorziata da cinque, vive sola con due gatti ed arriva a stento a fine mese, pensa sempre a quanto le sarebbe piaciuto scrivere best sellers e per ora scrive questo blog. Per pagarsi il dentista ha dovuto chiedere dei soldi a mamma, ed anche per quest’anno, il quinto di fila, non si parla di ferie nemmeno a morire.

Punti in comune? PRECARI, tutti quanti. Dalle aule della politica continuano a raccontarci balle sulle bellezze della flessibilità, sul fatto di aver trasformato il lavoro in continue esperienze di crescita e cambiamento, ma qua la sola cosa con cui tutti noi facciamo i conti è il nulla che abbiamo davanti, il nulla che possiamo offrire ai nostri figli, il nulla che compone le nostre prospettive future, il nulla che ci aspetta l’ultima settimana del mese, quando i conti li paghi con le promesse e la speranza.
Quanti di noi si stanno chiudendo nello stanzino delle scope, convinti che non ci sia più nulla da fare?
Quanti di noi stanno provando almeno a fare incazzare quanta più gente è possibile, sperando che serva a far pensare, a far discutere? E prima o poi, a far anche cambiare due o tre cose?
Io sono qua a fare questo, scrivo perché spero che vi riconosciate, e vi incazziate. E non vi rinchiudiate nello stanzino delle scope a piangere, ma vi mettiate a pensare, ad informarvi, a rifiutarvi di ingoiare altra merda. Od almeno a risputarla in faccia a chi ve l’ha fatta ingoiare a forza.

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